Negli Stati Uniti sono comparsi dei “ristoranti automatici”, in cui un robot cucina per noi. Ma io non ci sto! Ecco perché
[Articolo pubblicato su “Civiltà della Tavola”, rivista dell’Accademia Italiana della Cucina]
Gigi Padovani
Non ho alcuna pregiudiziale contro la tecnologia. Ho incominciato a lavorare nei giornali quando c’erano ancora le linotype con il piombo (non mille anni fa, soltanto nel 1975) e ora uso il mio computer per scrivere articoli e libri, amo cercare su internet notizie utili, che spesso commento con i social network. Anche in cucina oggi c’è molta tecnologia. Sono stato alcuni anni fa al ristorante el Bulli di Ferran Adrià, in Catalogna, e mi sono divertito molto: lui ha inventato tante tecniche che sono ormai diventate patrimonio comune degli chef, dalla sferificazione al sifone all’utilizzo dell’azoto liquido. Quindi non sono tra quanti gridano allo scandalo se i cuochi più innovativi cuociono a bassa temperatura nel roner o hanno sostituito i fornelli a fiamma viva con le piastre a induzione. Altrimenti saremmo rimasti al tempo in cui si cuoceva la carne sul girarrosto del caminetto. L’importante, alla fine è che il piatto sia buono e il gusto ne guadagni.
Adesso però si esagera, negli Stati Uniti. In Madison Avenue a Manhattan, come a San Francisco e a Washington, sono nati dei ristoranti totalmente automatizzati, aperti dalla catena Eatsa. Ne hanno scritto molti giornali. Sono stato a New York prima che, nel maggio scorso, il pranzo preparato da un robot fosse disponibile anche nella Grande Mela, dopo il primo esperimento in California. Probabilmente quando tornerò negli Stati Uniti, dove la cultura del cibo è invece considerevolmente cresciuta, ci andrò soltanto a “guardare”, per provare l’ebbrezza di questo genocidio culturale. Dai video che si trovano su internet ho constatato che questo pseudo-ristorante assomiglia a una farmacia o a una camera mortuaria, con degli iPad montati su colonne di legno per ordinare il pasto e tante vetrine con il cibo già preparato (da chi? Da altre macchine, probabilmente). Nessuno accoglie il cliente, non ci sono essere umani: né cuochi, né camerieri, né cassiere. L’automazione è completa, con alimenti rigorosamente vegetariani da scegliere, tipo guacamole, quinoa, mango e guava.
E’ questo il futuro del cibo che ci attende? Già all’Expo2015 di Milano ci era toccato discutere sugli insetti come alimento, probabile dieta proteica degli anni a venire. Ma arrivare al robot che gestisce il ristorante mi pare davvero troppo. Da millenni infatti cucinare è un atto d’amore, perché quanto viene preparato – in genere dalle donne, nutrici e madri, prima ancora degli chefstar, quasi tutti uomini – finisce nel corpo di un altro, diventa carne e sangue e ci dà energia per la vita.
Ma non solo. Come ci ha insegnato l’antropologo francese Claude Lévi-Strauss nel suo saggio Il crudo e il cotto, quando l’uomo ha incominciato a cuocere gli alimenti ha compiuto un atto culturale, quindi cucinare è un momento di crescita fondamentale della storia della civiltà. Nel loro libro Life is meals (si potrebbe tradurre “la vita è a tavola”), James and Kay Salter, una coppia di famosi foodwriter americani, scrivono: “Mangiare è l’atto essenziale della vita”. E ricordano che costituisce non soltanto un’abitudine quotidiana, ma è anche il segreto per un lungo matrimonio, è una scuola di comportamento, può essere persino il preludio dell’amore.
In effetti ogni momento significativo della nostra vita è segnato dal cibo, quando condividiamo il qualcosa da mangiare o da bere: si tratti di un matrimonio, di un funerale, di un battesimo, di una festa religiosa – quanti dolci in Italia sono collegati a Santi, Patroni, ricorrenze – c’è sempre un piatto adatto all’occasione che stiamo vivendo. Quale emozione potrà darci un robot-cuoco? Quali ricordi di momenti felici? A casa mia il Natale era contrassegnato, quando ero bambino, dai giorni frenetici di attività culinarie di mia nonna, destinate alla preparazione dei ravioli piemontesi: cottura dell’arrosto di manzo, del bollito di vitello e del riso, le verdure saltate in padella, il ragù e la pasta tirata a mano che si tagliava con la rotellina… E’ davvero tutto destinato a scomparire?
Sappiamo che probabilmente le macchine ruberanno all’uomo, nei prossimi quindici anni, oltre un terzo dei posti di lavoro esistenti. Tutti oggi si chiedono se questa seconda rivoluzione tecnologica, dopo quella industriale di fine Ottocento, potrà renderci più felici, consegnandoci del tempo libero per le nostre attività preferite, o se invece getterà sul lastrico milioni di lavoratori rimasti disoccupati. Di certo, per paradosso, avremo più tempo per cucinare, per scoprire gli ingredienti, per cercare dagli artigiani del cibo le specialità migliori in grado di appagare il nostro gusto. Come ha sottolineato Simran Sethi, autrice indiano-americana, nel suo bel libro Bread, Chocolate and Wine, ci sono tanti sapori a rischio che stanno scomparendo, perché si riduce la biodiversità. I ristoranti automatici di Eatsa sono un veicolo di questo attacco al piacere del gusto, sono persino peggio dei fast food, i quali negli ultimi anni cercano almeno di adeguare i loro menù alle materie prime locali.
Non posso immaginare un’amatriciana preparata da una macchina, la pizza digitalizzata o un tiramisù automatico, tanto per citare alcuni piatti del nostro orgoglio italiano. Altro che robot, saranno i contadini e i cuochi (meglio se donne, magari…) i mestieri del futuro. Per volerci bene e mangiare meglio.
[Da “Civiltà della Tavola”, rivista dell’Accademia Italiana della Cucina]