Era un grande intellettuale d’altri tempi, Folco Portinari. Ironico, colto al limite dell’erudito, gran gourmet ma appartato. Era scrittore, saggista, poeta e docente universitario, un pioniere della televisione nella Rai degli anni ’50. A lui si deve, con Carlo Petrini, la stesura del Manifesto dello “Slow-Food”, pubblicato da “il manifesto” nel novembre 1987. All’Osteria dell’Unione di Treiso (Cn), con Carlin inventò il termine “Slow Food” in contrapposizione alla “fast life”. E’ mancato a Milano l’11 gennaio 2019. Aveva 92 anni, era nato a Cambiano (To) l 25 gennaio 1926 e dal 1977 risiedeva a Milano. Con autoironia si era definito, in una intervista che mi concesse mentre scrivevo con Carlin la storia del movimento della chiocciola, il “Soldato Nemecsek in mezzo ai governatori”, quando decise di non partecipare come dirigente alla vita di Slow Food. Addio, Ernő (da i “Ragazzi della via Pal”).
Mi ha raccontato come nacque Slow Food e trascrivo il passaggio dal libro “Slow Food. Storia di un’utopia possibile” pubblicato da Slow Food Editore e Giunti.
Nelle cene all’Osteria dell’Unione di Treiso si dissertava con
disgusto snob di quell’Italia consumista e televisiva. Tra un bicchiere
di Dolcetto e un piatto di tajarin di Pina, una sera nacque
l’idea di reagire. Lo racconta Folco Portinari, allora dirigente
della Rai a Milano: «Alcuni locali storici d’Italia, anche a Firenze,
si erano trasformati in fast food. A forza di sentirne parlare, ci
venne l’idea di cercare di arginare questa calata dei barbari con
lo slow food: la intendemmo come una trincea difensiva. Carlin
mi chiese di provare a stilare un manifesto con la nostra filosofia.
Cercai di spiegare che dietro al fast food c’era una nuova cultura
e una nuova civiltà con un unico valore: il profitto. Il piacere è
del tutto incompatibile con la produttività, in quanto il tempo
che viene speso per la sua ricerca viene tolto alla produzione:
anche fare all’amore è un’attività “inutile” e peccaminosa. Mi
misi all’opera, pur sapendo che in realtà il vero manifesto contro
il fast food era già stato realizzato da Charlie Chaplin nel suo
film Tempi moderni. Volevamo recuperare il valore del corpo
e del piacere. Ebbi la ventura di trovare l’espressione fast life,
poiché il tempio in cui se ne celebravano i riti era il fast food.
Il sottotitolo che trovai a quel manifesto era “Movimento Internazionale
per la Tutela e il Diritto al Piacere”. Il retroterra
culturale veniva dalla mia esperienza nella rivista La Gola, che
allora trattava di cultura materiale, quando nessuno lo faceva,
con tanti intellettuali provenienti da Alfabeta e dal Gruppo 63
di Nanni Balestrini. Quell’esperienza, un po’ elitaria e aristocratica,
aveva riti molto belli, come le riunioni di redazione con
discussioni infinite, senza che ci fosse un direttore. Una cultura
che contribuì a far nascere il movimento per lo slow food. Il nostro
obiettivo non era soltanto il cibo: volevamo rivalutare anche
il tango, l’ombrello, la lentezza della vita e dei suoi oggetti. Mi
battei anche per chiamare l’associazione Arcigola – inteso come
superlativo – e non Arci-Gola. E da vecchio ungarettiano, insistevo
anche su due aggettivi, ilare e allegro. Pensavo all’Allegria
di naufragi di Giuseppe Ungaretti e al vecchio capitano che comunque
ricomincia a viaggiare dopo la tragedia».
Poeta, critico, intellettuale ironico e colto, Portinari scrisse il
testo, Petrini raccolse le adesioni e il 3 novembre 1987 comparve
sulla prima pagina del Gambero Rosso (anno II numero 11).