Erano le tavole della “bonne bouffe”, come la definiscono i francesi: un buon pranzo a prezzo economico, senza la formalità dei ristoranti stellati d’alta cucina. Alla fine del secolo scorso molti chef creativi hanno conquistato Parigi seguendo le orme di Yves Camdeborde che lanciò la “bistronomie”, ovvero la “gastronomia democratica”, con la sua Régalade, che poi cedette nel 2003 a Bruno Doucet. Nel successivo Comptoir du Relais, Camdeborde continua a offrire sia la cucina di super-brasserie sia i menu degustazione. E dopo quei successi sono arrivati altri locali, come l’Ami Jean dell’allievo Jégo, Le Chateaubriand, Le Dauphin, il Saturne, fino alla nouvelle vague parigina degli italiani che si sono lanciati in quell’avventura: come il romano Giovanni Passerini, Simone Tondo, Fabrizio Ferrara, i fratelli Corinti.
Da allora, anche in Italia la “bistronomie” ha fatto passi da gigante in tutte le grandi città, compresa Torino. Nel capoluogo subalpino si è assistito alla nascita di “pseudo-bistrot” o “moderne osterie”, specie nei quartieri alla moda – prima il Quadrilatero Romano, poi San Salvario, ora via Amendola – che hanno quasi del tutto abbandonato la vocazione alla buona cucina a costi abbordabili (intorno ai 50 euro, per capirci), cercando invece di allargare la clientela a un pubblico più giovane con un’offerta di prezzi più contenuti, ma inevitabilmente con un abbassamento della qualità.
In questo modo, hanno ucciso il concetto stesso di bistronomie, che era nata da cuochi creativi, che avrebbero potuto ambire alla stella, ma che invece vi hanno rinunciato volontariamente per aprire locali informali con piatti innovativi, esteticamente curati, con buone materie prime. Forse i mesi di lockdown hanno consigliato tutti a ripensare il proprio futuro. E se da Barcellona ha colpito tutti i gastronomi la brutta notizia che la famiglia Adrià ha deciso di chiudere i suoi ristoranti del Gruppo El Barri nel quartiere intorno a Plaza de Espana, a Torino c’è chi ha deciso di ripensare la propria offerta gastronomica: è lo chef stellato Fabrizio Tesse, insieme con la famiglia Buratti, i fratelli Federico e Niccolò, proprietari del Grand Hotel Sitea. Ai primi di maggio 2021 hanno aperto il “Carignano Pop” – per ora soltanto con i tavoli all’aperto nel dehors in via Carlo Alberto – che adotta una nuova formula, dopo la pandemia destinata forse a sostituire la bistronomie: l’alta cucina pop.
Il detentore dell’idea originaria rimane ovviamente Davide Oldani con il suo ristorante D’O di San Pietro all’Olmo (Mi), però a Torino nasce un’offerta diversa e decisamente interessante: da un lato, il ristorante stellato “Carignano”, 1* Michelin, continua con il consueto menu d’alto livello (degustazione a 95 €) – alla sera si può cenare nel giardino interno, ci sono soltanto tre tavoli disponibili, fino a che non ripartirà la ristorazione al chiuso – , mentre la versione “Pop” offre (a pranzo e a cena) alcuni piatti del Carignano, con altri della tradizione piemontese, come la cruda di fassone, il vitello tonnato o l’agnolotto gobbo. E la brigata di cucina è la stessa nelle due linee, con Tesse alla guida.
Per gli amouse bouche che abbiamo degustato nel pranzo di presentazione (che felicità!, ritrovarsi con altri giornalisti, seduti a tavola, per un piccolo evento) lo chef si è inventato una “Grissinopoli” fredda in carpione davvero innovativa. E poi antipasti come il salmone con caramello al frutto della passione ed erba cipollina, una straordinaria “cacio e pepe” con gamberi di Mazzara del Vallo, un agnello dalla cottura perfetta e un dessert alla mandorla e lime con uno strepitoso gelato al sesamo nero. Il tutto declinato con deliziose note di acidità appena accennate, in equilibro perfetto.
E anche la sala interna, quando finalmente si potrà tornare a cenare in un’atmosfera elegante, è stata rinnovata, con una boiserie nera e alle pareti tanti ritratti delle star internazionali che passando da Torino hanno soggiornato al Grand Hotel Sitea, che ha novant’anni di storia: compreso il grande jazzista Louis Amstrong che fu ospite nel 1935 per l’ultimo concerto in città prima dell’avvento delle leggi razziali fasciste.
Spiegano Tesse e Niccolò Buratti: “Abbiamo conquistato la stella Michelin e ce la teniamo stretta, ma vogliamo offrire una possibilità di far conoscere la nostra cucina in modo più ‘easy’ e meno formale”. E lo scopo – aggiunge lo chef – è quello “di trasmettere sapori riconosciuti, che tutti noi abbiamo nella nostra memoria, partendo dalla selezione delle materie prime, proposte però in una nuova veste e diversi abbinamenti”. Forse il binomio tra “innovazione e tradizione” è un po’ abusato, ma nel Carignano Pop (che rimane con il sottotitolo “Carlo & Camillo”, a ricordo delle vie d’angolo, dedicate a re Carlo Alberto di Savoia e al Conte Benso di Cavour) è davvero una stella polare: Fabrizio Tesse ha ormai raggiunto la piena maturità ai fornelli – del resto ha incominciato la sua carriera al fianco, per molti anni, di Tonino Cannavacciuolo – ma sa evolvere i piatti della tradizione adattandola alle sfide, alle conquiste e alle esigenze dei nostri tempi. Un tocco Pop che a Torino non guasta.