Gigi Padovani
I bambini sanno che i draghi esistono, ma le fiabe insegnano che si possono sconfiggere. E’ la morale che lo scrittore G.K. Chesterton trae dai libri per i bambini. E la metafora dei mostri cattivi si adatta anche per tutte le nefandezze che le agromafie (e non soltanto la criminalità organizzata, ma anche scienziati e industria senza scrupoli) scaricano sulla nostra tavola. Tanto da far titolare i loro libro – utilizzando il famoso passaggio di Shakespeare – C’è del marcio nel piatto! (Piemme, 214 pagine. 17,50 euro) a Gian Carlo Caselli e Stefano Masini.
Il primo è stato giudice istruttore a Torino, poi alla guida della Procura della Repubblica di Palermo e procuratore generale a Torino, ed ora presidente del Comitato scientifico dell’Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare. Masini è docente di diritto agroalimentare all’Università di Roma Tor Vergata, attualmente coordinatore della attività dell’Area Ambiente e Territorio della Confederazione Nazionale Coldiretti. Due grandi esperti che si sono cimentati in un libro che poteva essere noioso e difficile, e che grazie invece all’espediente narrativo delle favole risulta invece assai interessante, oltre che inquietante.
La mela avvelenata di Biancaneva è lo spunto per ricordare la strage del vino al metanolo che uccise 23 persone nel 1986, Alì Babà si confronta con i ladroni mafiosi, la lampada di Aladino è la pubblicità mendace che ci illude sul cibo, le etichette degli alimenti industriali spesso mentono come Pinocchio. Che disastro! A leggere il libro di Caselli e Masini viene voglia di andare ad abitare in campagna (chi può farlo) e consumare soltanto i prodotti del proprio orto biologico. E’ davvero tutto così avvelenato e pericoloso? In realtà gli autori, molto correttamente, ricordano che il Made in Italy dell’agroalimentare dà lavoro a 2,5 milioni di persone e genera affari per 270 miliardi di euro, grazie alle produzioni di qualità che ci invidiano in tutto il mondo. Però questo nostro orgoglio di “italiani brava gente” capaci di offrire i migliori cibi non deve offuscare l’attenzione per le sofisticazioni e le emergenze alimentari che sono arrivate sulla nostra tavola, dalla diossina nel latte, alla peste suina, all’aviaria fino alle mozzarelle blu.
Del “Drago a tavola” si è parlato il 12 agosto 2018 in un piacevole reading con spettacolo al Forte di Exilles per il Festival Teatro & Letteratura organizzato per la stagione estiva nelle montagne valsusine da Tangram Teatro, con il sostegno della Regione Piemonte, del Mibact, di Smat e la collaborazione del Circolo Lettori e dell’Associazione Inoltra. Sul palco, con il magistrato Caselli, l’attore Paolo Hendel, che ha recitato la esilarante piece teatrale “Gola” di Mattia Torre, sul rapporto – non prorio risolto – tra gli italiani e il cibo. A condurre l’incontro l’attore di Tangram, Bruno Maria Ferraro, con l’aiuto delle letture dello scrittore Bruno Gambarotta. [vedi foto in alto]
“Siamo un Paese che mangia senza se e senza ma”, ha esordito Hendel, ricordando che ci abbuffiamo con grande senso del dovere. A riportarci nella difficile realtà odierna, compresa la piaga del caporalato con la tragedia dei 16 braccianti africani morti nel Foggiano, è stato il dottor Caselli, che ha sciorinato i dati Eurispes che nel 2017 hanno individuato un giro d’affari delle agromafie di 21,8 miliardi di euro.
Che fare per fermare questi “draghi del cibo”? Caselli propone due soluzioni: la prima, rifare la legislazione alimentare in base alla riforma che la commissione istituita dal ministro Orlando del precedente governo ha consegnato al Parlamento alla fine della passata legislatura. “L’attuale normativa è inadeguata e desueta – dice il magistrato – e nella commissione che ho presieduto abbiamo lavorato per cambiare ciò che va modificato, in 49 articoli che mi auguro il nuovo Parlamento possa approvare. Sono anche stati presentati dei nuovi disegni di legge che recepiscono quelle norme, sia dal Pd sia dalla deputata del M5S Elena Fattori. Mi auguro che siano presto esaminate, per la tutela del nostro grande patrimonio agroalimentare e dei consumatori”. La seconda proposta è quella dell’ “etichetta parlante” – che già Slow Food per esempio utilizza nei prodotti dei Présidi italiani – con tutti i dati riguardanti gli ingredienti, la loro origine geografica, il luogo di lavorazione, persino il prezzo pagato all’origine. Utopia? Se anche noi consumatori ci ricordiamo che “mangiare è un atto agricolo”, come ha scritto il poeta america Wendell Berry e che “il cibo non è soltanto merce, ma bene comune”, come scrive il fondatore di Slow Food, Carlo Petrini, nella prefazione al libro, allora forse l’utopia diventa davvero possibile.