Ha scritto Giuseppe Prezzolini che «gli spaghetti sono l’espressione del genio collettivo del popolo italiano». Se è vero che un popolo si identifica con la sua storia, ora noi ci specchiamo felicemente nelle nostre tavole. Dietro ogni piatto c’è un territorio, una tradizione, dei prodotti tipici.
Un cuoco, Vialardi, un pittore, Fillia, un imprenditore, Gualino, e uno scrittore, Soldati, ci aiuteranno a sfogliare queste pagine di storia a tavola.
Torino ha contribuito a costruire l’identità nazionale e anche quella gastronomica, attraverso i cuochi di Casa Savoia, che hanno fatto diventare italiani i piatti ideati da grandi chef francesi.
Prima di Pellegrino Artusi, unificatore nazionale delle tradizioni regionali culinarie, fu Giovanni Vialardi, cuoco formatosi nelle cucine torinesi di Palazzo Reale, a dare alle stampe nel 1854 il primo ricettario destinato alle case borghesi. Molti anni dopo, nel 1934, nella Taverna del Santo Palato a pochi passi da piazza Vittorio Veneto, furono i futuristi, unico movimento artistico italiano noto in tutto il mondo, a battezzare piatti innovativi e poli sensoriali che oggi ci ricordano le esperienze di tanti chef contemporanei. E come dimenticare che il capoluogo sabaudo fu capitale del cioccolato per almeno due secoli, fino all’avventura della Unica, poi diventata Venchi Unica, fondata dal grande imprenditore Riccardo Gualino, al quale la città dedicherà quest’anno un’importante mostra. Nel 1957 la gastronomia approda sugli schermi televisivi grazie allo scrittore torinese Mario Soldati con il suo programma Viaggio lungo la Valle del Po alla ricerca dei cibi genuini: nel 2019 se ne ricorderà il ventennale dalla morte.
Il cuoco Vialardi, il pittore futurista Fillia, l’imprenditore Gualino e lo scrittore Soldati sono quattro personaggi piemontesi che ci permettono di ricostruire una narrazione gastronomica inedita, che dalla storia arriva nel piatto attraverso le abili mani dello chef Luca Taretto, approdato da un anno al ristorante La Cloche 1967, un locale della grande tradizione torinese gestito con il consueto savoir faire dalla famiglia Bello.
- Giovedì 28 febbraio 2019
- Sabato 2 marzo 2019
- Martedì 5 marzo 2019
Il Fritto Misto alla tavola di Casa Savoia: Giovanni Vialardi
Nel suo Trattato di cucina pubblicato nel 1854, Giovanni Vialardi, aiuto capocuoco di Casa Savoia, dedica quasi quaranta pagine, nel capitolo quinto, alle «fritture», che non «convengono agli stomachi deboli, però quelle ben fattesi digeriscono facilmente». Il fritto misto è una delle pietanze più tipiche del Piemonte, solitamente adottata nei pranzi di ricorrenza o nelle feste importanti. Nell’assortimento degli ingredienti e nel contrappunto dei sapori e delle consistenze è il segreto di questo monumento della nostra gastronomia, uno dei pochi piatti che accomuna sia la cucina contadini che quella di Corte, come dimostra il ricettario di Vialardi.
La prima tappa di questo percorso ideato da Clara e Gigi Padovani parte dal cusiné dël re nato a Salussola, nel Biellese, nel 1804 e assunto a palazzo da Carlo Alberto. Per trent’anni fu al servizio dei Savoia e quando andò in pensione volle condividere il suo sapere scrivendo un libro che è stato definito di «cucina sociale». E sorprendentemente, tra i piatti per i bambini propose le patate fritte …. Sarà poi un altro “cuoco del re”, Amedeo Pettini, a regalarci la ricetta del “fritto all’italiana” nel suo trattato, più volte ristampato, pubblicato negli Anni ’20 del Novecento.
A Carnevale ogni fritto vale. Ecco l’interpretazione dello chef Luca Taretto: menu (con possibilità di prenotazione in tre serate, dal giovedì al martedì grasso)
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Amouse Bouche: Crudité di Stagione, Insalata Russa
Altalanga Brut Metodo classico
Vitello in salsa Tonnata con insalatine di Giardino
Fritto misto della tradizione Piemontese
Impanata di Vitello, Pollo e Cavolfiore; Impanata di Maialino e Zucchina dorati; Carotine in padella, Salsiccia, Fegato e Patatine fritte; Impanata di Agnello, Cervella, Filone e Carciofo dorato; Frittura dolce: Semolino, Mela e Amaretto
Sorbetto “Colonel”
Dessert
Caffè, Bugie “Maison”, Friandises
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In cucina lo chef Luca Taretto
Programma e narrazione gastronomica di Clara e Gigi Padovani
Ristorante La Cloche 1967, Strada Traforo del Pino 106, Torino
Info e prenotazioni: +39.335.7712247 – +39.011.899.02.16
Costo: 50 euro, vini compresi
- Sabato 23 marzo 2019
Alla Taverna del Santo Palato con Fillia e la Cucina Futurista
Sulla Gazzetta del Popolo il 28 dicembre 1930 fu pubblicato il «Manifesto della cucina futurista» con l’intento di adeguare al mito della velocità e della modernità propugnato da Filippo Tommaso Marinetti e dai suoi accoliti, artisti e intellettuali coccolati dal fascismo, anche la tradizione culinaria italiana. I firmatari proponevano – tra grandi polemiche – «l’abolizione della pastasciutta, assurda religione gastronomica italiana». Così i «bocconi simultanei», i «complessi plastici saporiti», la musica e la poesia come ingredienti, la curiosità e la fantasia entrarono di prepotenza tra i fornelli tricolori, senza però lasciarne una traccia duratura. Forse la provocazione era eccessiva, l’azzardo intempestivo, tanto che soltanto l’alta cucina d’avanguardia, nei piatti molecolari, ha ripreso ottant’anni dopo alcune di quelle intuizioni.
Torino fu al centro di questa esperienza, non soltanto per il quotidiano sul quale pubblicarono il loro Manifesto, ma anche perché il primo ristorante dichiaratamente futurista, anche nell’arredamento – progettato da Nicolaj Diulgheroff – aprì in città l’8 marzo 1931, in via Vanchiglia, con una cena di gala alla quale fece da speaker ufficiale un pittore cuneese, Luigi Colombo (1904-1936), che firmava i suoi poetici quadri con il cognome della madre, Fillìa.
Tra polibibite (le parole straniere come cocktail furono bandite), traidue (il sandwich), poltiglie (il purè) il peralzarsi (il dessert) alla Taverna del Santo Palato si consumò una cena delle meraviglie, con piatti poli sensoriali e accostamenti di gusto inusuali, come il Carneplastico, il PolloFiat, il Brodo solare e altri. Pietanze che rivivranno, senza eccessi, nella interpretazione dello chef Luca Taretto.
- Sabato 13 aprile 2019
Riccardo Gualino cioccolatiere: dall’antipasto al dolce con il Cibo degli Dei
Imprenditore, finanziere, banchiere, mecenate e letterato, Riccardo Gualino (Biella, 1879 – Firenze 1964) fu una figura di spicco nella vita sociale torinese della prima metà del Novecento, caduto poi per molti anni nell’oblio. Tra poco una grande mostra a Palazzo Chiablese ripercorrerà la vita, non soltanto con le collezioni d’arte che ha lasciato alla città, ma anche mettendo in luce le sue molteplici attività manageriali, teatrali, sociali.
Pochi lo ricordano come industriale dolciario, ma Gualino nel 1924 tentò di far decollare la Unica (Unione Nazionale Industrie Cioccolato e Affini), con un grande stabilimento in corso Francia, riunificando diversi marchi già esistenti (come Moriondo & Gariglio e Talmone). La sua missione fu quella di far conoscere a tutti gli italiani le meraviglie del cioccolato “democratico” alla portata di ogni portafoglio. Il suo sogno fallì, si infranse nel 1931 con un tracollo finanziario e con l’invio al confino da parte del fascismo. Il suo marchio si unificò nel 1934 con un’azienda prima concorrente, diventando Venchi-Unica.
Lo chef Luca Taretto propone una cena a tutto cioccolato, dall’antipasto al dolce, che stupirà senza cercare eccessi, in un’armonia di sapori che sarebbe piaciuta a una coppia di bon vivant come Gualino e la moglie Cesarina Gurgo Salice.
MENU CON IL CIBO DEGLI DEI
dello chef Luca Taretto
AMOUSE BOUCHE
Finger food al cioccolato con Vermouth di Torino al cacao
ANTIPASTO
triglia scottata in crosta, caviale di cioccolato, crema di acciughe, radicchi marinato
PRIMO
Plin al cacao amaro ripieni di robiola e zest di limone, burro d’alpeggio, gambero scottato
SECONDO
petto d’anatra marinato all’arancia, Nocciole Piemonte Igp, demi glacé al cioccolato fondente 85%
DOLCE
semifreddo alle Nougatine
- Sabato 18 maggio 2019
Viaggio nella Valle del Po con Mario Soldati a vent’anni dalla morte
Quel reportage, trasmesso in dodici puntate tra la fine del 1957 e l’inizio del 1958, segnò l’esordio della narrazione gastronomica in televisione. A volerla fu Mario Soldati (Torino 1906 – Tellaro 1999) eclettico scrittore, giornalista, regista e gastronomo, che avvertì – già allora, si potrebbe dire oggi – l’esigenza di non disperdere il patrimonio delle tradizioni culinarie italiane. La trasmissione si intitolava Viaggio nella Valle del Po alla ricerca di cibi genuini e fu interamente girata in esterni, con osti, artigiani, contadini che raccontavano le loro piccole produzioni, contrapposte a quelle dell’industria alimentare che incominciava ad affacciarsi nell’Italia della ripresa economica dopo la Seconda Guerra Mondiale.
Soldati comprese che il cibo prodotto da quelle comunità rurali era – e rimane – alla base dell’identità di una nazione. Nei suoi scritti successivi, come Vino al vino e in tanti resoconti di viaggi nella pianura padana raccolti nell’antologia Da leccarsi i baffi, Soldati raccomanda di conoscere i territori e le persone che danno origine a cibi e bottiglie, unico modo per poterli apprezzare fino in fondo. Rimase famosa la sua “frittata rognosa”, come tanti piatti saporiti e autentici che descrisse nei suoi articoli. Lo chef Luca Taretto ne proporrà un’antologia rivisitata in chiave moderna e più leggera.