Simonetta Agnello Hornby
Scrittrice
Conobbi il tiramisù trent’anni fa, duranteuna vacanza di Pasqua fredda e piovosa. Eravamo ospitinella casa di campagnadi parenti.Vi andavo da quando ero piccola, econoscevo bene la famiglia di contadini che viveva lì; i loro figli avevano la stessa età dei miei e giocavano insieme, come anni prima avevo fatto io con i genitori. Ci volevamo bene.Il giorno di Pasqua insistetti nel fare una lunga passeggiata tra gli ulivi, senza impermeabile, e incappai in un tipicotemporale primaverile della Sicilia: tutto ad un tratto il cielo diventa scuro, la temperatura si abbassa e iniziano le raffiche di vento, portatrici di pioggia; poi il vento si abbatte e piove a dirotto, senza pietà per la fioritura degli alberi e le gemme dei piccoli frutti appena formati.
Tornai in fattoria, fradicia e febbricitante.Passai i giorni di festa a letto, ma non sola. C’era un via vai di visite, ognuno portava un regalo: la cassatapiccina, grande quanto un piatto da frutta,preparata apposta per me, i dolcini di pasta reale ripieni di conserva di pistacchio, i biscotti ricci e le ciambelle di Canicattìlunghe e lucidissime, deliziose se intinte per un attimo nell’acqua gelata e portate in bocca immediatamente.
Lilla, la figlia dei contadini, venne in visita senza portarmi alcun regalo. Era una ragazza giovanissima molto carina: volto fresco, guance rosse, un sorriso contagioso. «Sono venuta a vederla, mia madre dice che la febbre non se ne va. Volevo chiedere se posso preparare un tiramisù, fa bene a tutto».Acconsentii, convinta che fosse una tisana rinvigorente, come l’”acqua con l’alloro”, il vino cotto, e adesso, per l’appunto, il decotto “tirami su”. Rimasi perplessa, quando la ragazza ritornò fiera, con una ciotola di vetro colma di un budino di ricotta freddo,decorato con scaglie di cioccolato. «Boh, pensai, chissà che mi ha preparato!». Lo assaggiai;non mi sembrava particolarmente buono, la ricotta aveva un gusto leggermente diverso da quello che conoscevo. Chiesiquali erano gli ingredienti e da dove avesse preso la ricetta. «Dalla televisione, lo fanno vedere alla televisione e danno la ricetta sullo schermo!», rispose Lilla, giubilante, e ripetè orgogliosa che non c’era ricotta ma bensì un formaggio “di fuori” che si chiamava mascarpone. «Lo vendono al supermercato!». E spiegò: «Tiramisù. Tira su i malati!»
Non ho mai dimenticato quella conversazione e il mio primo tiramisù, quello dellaversione televisiva! Che non mi piacque. Ma che apprezzai enormemente nel suo valore di un altro passo avanti nell’unione tra Nord e Sud di questa nostra Italia, come puntello nel processo lento ma inarrestabile della fusione dolciaria della nostra nazione. Il panettone, la colomba pasquale e ora il tiramisù, che dal nord scendono fino alla campagna siciliana, da cui salgono cassate e cannoli. Mi piace questo miscuglio a tavola.Che un dolce veneto si insinui nella cucina della campagna siciliana è commovente, come lo era la tenera decorazione sicilianizzata: non soltanto le scaglie di cioccolato ma le palline di zucchero argentato dei dolci monacali di Pasqua.Il tiramisù ha ottenuto un grande favore popolare, è nel menù di tutti i ristoranti italiani e di molti stranieri. Ne sono contenta . Lo ho assaporato anche nelle case degli inglesi. Lo ho assaggiato in tante varianti. Ma ame, purtroppo, il tiramisù continua a non piacere. Però lo accetto semprequando mi viene proposto, nella speranza di trovare finalmente una versione di tiramisù che mi conquisti.
Clara Barra
Critica gastronomica e giornalista Gambero Rosso
E’ uno dei primi dolci che ho imparato a preparare, da bambina, insieme con il salame di cioccolato. Non dovendo andare nel forno, è considerato un dessert sicuro. Da una pratica semplice, nasce un piatto goloso, purché gli ingredienti siano freschissimi e buoni. Piace a tutti, ricorda l’ovetto sbattuto della nonna.
E’ un dolce che rassicura, è confortante perché dà sempre un senso di casa: il sapore è sempre quello della memoria. Da critico gastronomico per la Guida del Gambero Rosso ho poi assaggiato tante interpretazioni, destrutturate, scomposte, innovative e forse quella che mi è rimasta più impressa è la versione creata dallo chef Ernesto Iaccarino da Don Alfonso 1890, sulla Costiera Amalfitana, con il suo “impressionismo di crema e zabaione al caffè”.
Riccardo Cassini
Scrittore, autore televisivo
Il Tiramisù, prima dell’invenzione, codificazione e battesimo ufficiale del famoso dolce, che qualcuno dice essere di origine piemontese, era un altro modo con cui il fondatore della Fiat usava definire il cric dell’automobile.
Lo chef Linguanotto si rifece alla sua esperienza fatta in Germania per creare il tiramisù, una volta tornato in Italia. Parimenti il tiramisù ritorna in Germania, dal sig Pfizer, fondatore dell’omonima azienda Farmaceutica, per assumere in seguito il nome di Viagra.
Anche in Giappone il dolce ha molto successo, solo che al posto della parola “tiramisù” l’ideogramma è quello del Sol-Levante.
Recentemente è stata avanzata una proposta per apporre il simbolo del tiramisù sullo stemma dei Parà della Folgore. Da sempre, infatti, il Tiramisu è il dolce preferito dal paracadutista in difficoltà.
Angela Frenda
Scrittrice e food editor Corriere della Sera
Dolce spesso ingiustamente trascurato dai gourmet, il tiramisù vive del suo trasformismo, ma allo stesso tempo della sua capacità di rimanere saldamente ancorato alla tradizione. Considerato di facile esecuzione, ha innumerevoli varianti: con savoiardi, con frollini, con la frutta, tutto cioccolato, monoporzione, destrutturato….
La verità è che è uno di quei childish food ai quali è difficile rinunciare. La sua palatabilità ci riporta indietro ai pomeriggi dopo la scuola, al mangiare furtivi (e felici) cucchiaio dopo cucchiaio, al piacere nascosto dietro l’assaporare a strati (prima il mascarpone, poi il biscotto, poi il caffè…). L’unico rischio è che per innovare lo si stravolga. Ecco, quello no. Lasciateci il nostro, solito, tiramisù.
Licia Granello
Scrittrice e giornalista di Repubblica
Non è casuale che nel suo diario Bridget Jones annoti come summa delle tentazioni golose un solo dolce: il tiramisù. Perché il suo potere evocativo, carnale, peccaminoso in modo esplicito a partire dal nome, rappresenta più di ogni altro il dolcissimo demone della gola, travalicando perfino il dato calorico: in fondo, i numeri dell’abisso glicemico di rado sforano quota 400 (per 100gr), che si tratti di brioche farcite o bignè, cannoli o pastiera.
Rispetto a tanti dessert felicemente e irrimediabilmente local, il trevigiano tiramisù ha saputo espandersi per gran parte del pianeta, riuscendo come il paradigma della seduzione tradotta in morsi solluccherosi, dall’America puritana alla laicissima Norvegia, ogni volta con un vestito un poco diverso, ma sempre riconoscibilissimo. Se proprio bisogna scegliere una variante, voto quella di Massimo Bottura: schiuma di mascarpone alla vaniglia, briciole di amaretto, nocciole e mandorle, gelato di caffè e tuorlo d’ uovo. Leccarsi i baffi è il minimo.
Paolo Marchi
Giornalista, ideatore e curatore di Identità Golose
Ammiro il Tiramisù perché sintesi perfetta dello spirito della Cucina Italiana, del nostro genio nel creare un formidabile piatto con due o tre elementi, pochi mattoni e hai un monumento che il mondo ci invidia. Come la pizza margherita o gli spaghetti pomodoro e basilico, il tiramisù è giusto tre cose del tipo dire fare amare. Savoiardi (io cordialmente detesto la sola idea si possano usare i Pavesini), caffè, mascarpone. Cosa di più? Qualche certezza in più sui natali. Rispetto ad altre nostre incredibili preparazioni, ne sappiamo di più, la nascita in un certo ristorante di Treviso, un cuoco che lo porta oltreoceano, ma nulla di preciso, di alto. Ripensato in mille varianti, amo la goduriosa sua consistenza. Mi ricorda un gioco dove i profumi non cambiano ma forme e consistenze sì.
Margherita Oggero
Scrittrice
Il tiramisù è una droga pesante, di quelle che subito dopo la prima dose creano dipendenza.
Qualcuno ti aveva avvertito, ma invano, e non appena hai immerso il cucchiaino nella sua morbida crema e l’hai portato alla bocca, hai capito come sarebbe andata a finire.
Dintossicarsi? Ma chi ne ha forza e la voglia?
Comunque, sempre meglio schiavi di questo vizio, piuttosto che anoressici o vegani.
Sonia Peronaci
Foodblogger
Lo cucino da sempre: è il dolce preferito dalle mie figlie che, a loro volta, ne hanno fatto un cavallo di battaglia quando vogliono fare bella figura con gli amici.
E’ uno strepitoso comfort food e ce lo invidia tutto il mondo, tanto che la ricetta è sempre stata tra le più cercate sul web. Il tiramisù è un’intramontabile icona italiana che unisce il gusto di tutti, tanto che le sue rivisitazioni sono infinite.
Francine Segan
Food writer americana
Il tiramisù è delizioso, succulento. Non mi sorprende che sia il dessert italiano numero uno, in America: l’ho trovato in ogni menù dei ristoranti italiani in tutti gli Stati Uniti. Lo adoro. Per me simboleggia la perfezione, che è il segno distintivo del cibo italiano: pochi ingredienti, magistralmente combinati e semplici da fare.
Amo il tiramisù, tanto che nel mio libro Dolci, Italy’s Sweets non ho pubblicato soltanto una, ma tre ricette di questo dolce! E’ incredibilmente versatile e sono così contenta che ci sia finalmente un intero libro dedicato al tiramisù.
Eugenio Signoroni
Curatore della Guida Osterie d’Italia Slow Food
Credo che il motivo per il quale il tiramisù sia diventato così famoso in tutto il mondo è che si tratta di un modello facile da replicare e disponibile ad accettare molte variabili. Ognuno può, infatti, interpretarlo come vuole senza tradirne troppo l’origine. È questo il segreto di tutti i piatti che, pur appartenendo alla più profonda tradizione italiana, hanno avuto successo nel mondo: la pasta, la pizza, le paste ripiene e le lasagne.
E il tiramisù, in fondo, non è nient’altro che una lasagna dolce: alla pasta si sostituiscono i biscotti intinti nel caffè, al ragù la crema di uova e mascarpone e alla besciamella il cacao. Questa è la ricetta base, ma ognuno poi può fare come crede, altrimenti che ricetta tradizionale sarebbe?!