[Dalla introduzione “Comunicare la felicità” del libro “L’arte di bere il vino e vivere felici” di Gigi Padovani]
Siete affascinati dal vino. Vi piace berlo, soprattutto nelle occasioni importanti o con gli amici. Siete attratti dalla convivialità che crea. Vi ha sempre incuriosito quel mondo dalla storia millenaria. Possedete già un piccolo bagaglio di nozioni utili e vi siete ripromessi mille volte di seguire un corso per sommelier, magari anche soltanto per radio o su Internet, ma non ne avete trovato il tempo. Soprattutto avete sempre pensato che l’arte enoica sia qualcosa di complesso e impegnativo, un «sapere» lontano dalla vita quotidiana.
Questo libro fa per voi. Perché vi farà capire che bere vino è un «fare», e un fare pensando, percependo, amando. Un esaltatore di vita all’ennesima potenza, che aiuta a immergersi nel qui e ora.
Avete mai tenuto tra le mani un bicchiere di Porto, guardando incantati le geometriche terrazze della Valle del Douro, in Portogallo? Vi è capitato di sorseggiare un Sauvignon Blanc al cospetto dei vigneti di Marlborough, in Nuova Zelanda? Avete provato a degustare un Barolo in un agriturismo di Località Fontanazza di La Morra, in Piemonte, vagando con lo sguardo tra i poggi irti di castelli delle Langhe? Io sì, e in quei momenti credo di aver capito qualche segreto dell’arte di bere vino per connettersi al mondo che ci circonda, praticando la mindfulness.
Secondo Anthelme Brillat-Savarin, l’autore di Fisiologia del gusto, proprio la capacità di gustare pienamente il vino, così come il cibo, distingue l’uomo dagli animali: «Quelli che si ingozzano o si ubriacano non sanno né bere né mangiare».
Ma bisogna avere consapevolezza di ciò che si beve, soprattutto oggi. Per la mitologia il vino era il nettare degli dei. Gesù Cristo l’ha condiviso con i discepoli sulla sua tavola. Per molti secoli è stato un alimento: nel 1861, quando fu fatta l’Unità d’Italia, se ne consumavano circa 100 litri a testa ogni anno, media che attualmente è scesa a meno di 40 litri.
Ho incominciato la mia lunga carriera giornalistica come direttore di una rivista che enunciava la sua gloriosa missione fin dalla testata, «Barolo & Co». Sono nato ad Alba, capitale della Langhe, le colline care a Fenoglio e Pavese. Quelle vigne dai filari pettinati e plasmati da generazioni di contadini sono ora Patrimonio dell’Umanità Unesco, anche grazie alla Nutella, che nel dopoguerra ha salvato queste terre dall’emigrazione e dalla povertà. Quando, in primavera, nelle cantine dell’Albese si comincia a imbottigliare, sulle strade tra i castelli si snodano le file di auto degli enoturisti che si vogliono accaparrare subito il frutto dell’ultima vendemmia.
Chi conosce queste terre non può non amare il vino. Ho viaggiato molto. Ho bevuto, ma in modo sempre consapevole. Ho avuto il privilegio, come diceva il grande Gino Veronelli, di visitare le cantine e calpestare la terra dei vigneti in tanti Paesi: in Argentina, in Nuova Zelanda, in Portogallo, in Francia, in Spagna, in California, in Australia e in quasi tutte le regioni vinicole italiane. Mi piace scoprire le storie di ogni produttore, dal piccolo viticoltore alla grande azienda, perché credo che così il piacere della degustazione sia completo.
Bianco o rosso? Con quale bicchiere? Che cosa significa quella strana sigla sull’etichetta della bottiglia? Non fatevi intimorire da chi cerca di innalzare un muro tra voi e il vino, fatto di paroloni inutili. Il vino è un amico, un alleato, un veicolo di felicità e di consapevolezza. Impareremo insieme a conoscerlo e a «viverlo» passo dopo passo, senza dover imparare tecniche astruse, ma semplicemente concentrandoci su ciò che stiamo facendo.
Toglietevi dalla testa però i pregiudizi sul vino: per un approccio serio occorre una mente libera, come per ogni cosa. E una domanda soltanto: sapete «annusare» la vita? È quella, infatti, che troverete in un buon bicchiere di rosso, di bianco o di rosé, insieme a intensi profumi: spezie, burro, crosta di pane, frutti di bosco. La vita della terra. Potete scoprire tutto questo. Ed è alla portata di ogni naso, basta solo un po’ di esercizio.
Nessuno oggi beve il vino per «alimentarsi». Ma sappiate che il suo piacere aumenta se abbinato a un buon cibo, quello giusto. Se siete un buongustaio, quando ordinate un piatto di crostacei, scegliete un fresco Vermentino di Gallura; davanti a un cotechino pensate a un Lambrusco frizzante; con una torta di nocciole agognate il profumato Moscato d’Asti.
Ecco perché è necessario usare la mindfulness quando si beve vino: la felicità sarà una conseguenza. Non è stordimento. Semmai è una forma di euritmia, uno stato di benessere che nasce dalla consapevolezza di ciò che avete nel bicchiere: storia, cultura, territorio e tanta fatica contadina.
Ci sono anche i vini da meditazione, che si possono bere in doppia solitudine: senza un cibo come accompagnamento e senza amici intorno. Ma sono rari. E quell’attimo felice è più difficile da raggiungere.
Daremo uno sguardo anche alla salute, perché no? Nel nettare di Bacco ci sono proteine, glucidi, lipidi, fibre, alcol, sali minerali, vitamine, polifenoli. Nessuno lo ingurgita come una medicina, come ai tempi di Ippocrate, però il «paradosso francese» ci racconta, con analisi scientifiche precise, che bere il vino in modo quotidiano e con moderazione può allungare la vita.
Non basterebbe questo per farcelo amare? Prosit.